Caro Blondet,
tutti possiamo sbagliare e Le scrivo nella speranza di dare un contributo alla verità. L’argomento ce lo offre il Suo brillante articolo “Senza verità, niente risorgimento” del 27 marzo 2010, ispirato dall’ottima Angela Pellicciari. Tutto giusto e condivisibile ciò che affermate sull’Italia, tranne su un punto, dove forse noi Veneti soffriamo un po’ del soffocamento a cui va soggetta la nostra storia. Ci sono una serie di luoghi comuni che da tempo cerco con fatica e modestia di scalzare, sperando di essere ascoltato (per esempio la communis opinio vede ancora in Paolo Sarpi un eretico ed un laicista, soprattutto perché non ci si prende il disturbo di leggere le sue opere, che pure sono importantissime). Un altro, ahinoi, attanaglia i poveri Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
Le cose da Lei scritte contengono giudizi del tutto gratuiti, frutto di un’equiparazione del 1848 veneto con quello romano o milanese, che non ha fondamento. Forse il motivo è che noi Veneti siamo una Nazione a parte e non condividiamo la storia italiana, anche se siamo stati presi dentro a questo sciagurato stato un secolo e mezzo fa. Mi permetto di allegarLe un file in pdf dove troverà un pur succinto quadro storico di che cosa avvenne nelle nostre terre dal 22 marzo 1848 al 24 agosto 1849. Si trattò della riscossa nazionale della Veneta Nazione e non di rivoluzione italiana, perciò le consuete categorie di giudizio per il risorgimento in questo caso non funzionano. Insomma, sto dicendo che son vere le cose che avete scritto sulla falsificazione storica in Italia, ma noi Veneti non c’entriamo.
E’ sbagliato mettere nel mazzo Manin e Tommaseo (da ogni buon Veneziano considerati eroi indiscutibili) con Cavour, Garibaldi, Mazzini e i Savoja. Quella è un’altra storia della quale noi, per la verità, non avremmo mai voluto sentir parlare.
Vede, da noi si combatté per un anno e mezzo una guerra di popolo, tragica e struggente. Tutti insieme, Veneziani, Friulani e Veneti, patrizi, borghesi e popolani, cattolici e liberali, conservatori e progressisti, uomini e donne, clero e laici. Noi Veneti siamo sempre stati una Nazione, per questo eravamo uniti, poi è arrivata l’Italia a dividere, seminando odio e ideologia. Il ’48 nel Veneto fu voluto soprattutto dal ceto intellettuale. Ma fu sostenuto anche dal contado e dal Clero cattolico, che partecipava del dolore del popolo; fu sostenuto economicamente anche dal patriziato, benché contrario fin da subito alla rivoluzione, perché sapeva che sarebbe stato un sacrificio inutile; fu sostenuto economicamente anche dalla nostra comunità ebraica, perché qua a Venezia - persino loro che erano stati blanditi da Napoleone - ricordavano con nostalgia la Serenissima, che tanti privilegi aveva concesso loro. Tutti uniti in difesa della Patria comune.
Lei ha voluto ricordare l’episodio del 22 marzo, quando gli Arsenalotti aggredirono il colonnello Marinovich, cioè il Capo ispettore che li sovraccaricava di lavoro e li pagava male. Beh, sapesse che cosa avevano dovuto passare con le occupazione straniere… Tenga conto che noi Veneti abbiamo liberato tutto il territorio in una manciata di giorni. Le guardie austriache avevano sparato addosso al popolo il 18 marzo: nove morti tra i popolani. Il 22 marzo, nella giornata clou, 1 morto: Marinovich. Beh, ci spiace per lui. Tutti i documenti mostrano che Manin e Tommaseo furono eccellenti governanti, mantennero sempre la calma, la moderazione e la concordia sociale anche in frangenti drammatici, attirarono su di sé oneri e responsabilità, tennero sempre il popolo al riparo dalla rovina, alla fine pagarono con un penosissimo esilio in povertà assoluta.
Lei dice che Manin si proclamò dittatore? Vero, per due giorni. Il 17 giugno 1848 approdava a Venezia il conte Enrico Martini, l’emissario di Carlo Alberto che recava l’aut aut del sovrano sabaudo rivolto al Presidente della Repubblica Veneta: duemila soldati piemontesi e aiuti economici per salvare Venezia ormai circondata dagli Austriaci, in cambio di un’immediata dichiarazione in favore dell’annessione al regno di Sardegna. Fu così convocata l’Assemblea Provinciale che il 4 luglio si pronunciava in tal senso, provocando le dimissioni di Manin e la formazione del governo provvisorio filo-monarchico presieduto dall’avvocato Jacopo Castelli, che formava poi la terna di Commissari regi con il marchese Vittorio Colli e il conte Luigi Cibrario. Il 9 agosto, con l’ignominioso armistizio firmato dal generale Salasco, Carlo Alberto cedeva le armi agli Austriaci davanti a Milano, quasi senza combattere, ed abbandonava Veneti e Lombardi al loro destino.
L’11 agosto 1848 alle ore 8 di sera il popolo veneziano accorre in massa in piazza e tumultua pretendendo la cacciata del neogoverno albertino. Daniele Manin per salvare dal linciaggio i tre commissari si affacciava dal palazzo governativo delle Procuratie Nove e dichiarava di assumere pieni poteri per 48 ore. Si espose sempre lui con un coraggio da leone, soprattutto quando aveva tutto da rimetterci e niente da guadagnare.
Voglio dire poi che gli Austriaci non furono sempre dei santi. Per esempio a Cornuda. Il 9 maggio 1848 si consumò il martirio di uno squadrone di dragoni pontifici: di 100 che andarono all’assalto in nostra difesa 99 si immolarono, solo uno sopravvisse. Gli Austriaci fucilarono sul posto due nostri contadini che si erano arresi. Le pare un bel gesto? Il giorno dopo un ragazzo di sedici anni fu messo al muro perché aveva addosso un medaglione di Pio IX e una coccarda. Infatti 7-8.000 nemici su di giri, in parte ubriachi, occuparono Cornuda e Onigo depredando e distruggendo. Arrivati al Santuario mariano della Rocca sottoposero il Rettore a tortura per estorcergli danaro. Mettevano tutto a ferro e fuoco e proseguendo la folle marcia verso Pederobba uccidevano a casaccio (questa fu la fine di due abitanti, Giuseppe e Giacomo Stramare) e avanti così fino a Montebelluna e Masér.
Sì, la guerra è terribile però, Vede, noi non l’avevamo voluta, abbiamo rispettato il nemico, chiedevamo dignitosamente di vivere in pace in base ai diritti storici della Serenissima. Quando gli Austriaci tornarono sapevano benissimo di commettere un sopruso: non toccarono nessuno, presentarono una lista di 40 Veneziani che costrinsero all’esilio, le loro truppe fecero l’ingresso a Venezia rendendo l’onore delle armi. Vari quaquaraquà dicono oggi che Manin faceva parte della massoneria, complottava con gli Ebrei e via congetturando; sono anni che dico: portate le prove!
La saluto cordialmente e mi saluti la Pellicciari!
Edoardo Rubini
VVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVV
Conosco di fama Edoardo Rubini, vado a memoria citandolo nel "Processo a Napoleone" Filippi Editore Venezia. Un'onestissimo, e competentissimo storico "Veneto" che non teme di affrontare la tormenta della polemica italica organizzata, per affermare la nostra "Veneta storica verità". Nel dettaglio non conosco l'articolo nè di Blondet nè di Pellicciari. Di sicuro il Professor Rubini sa molto bene quel che scrive e quel che afferma, proprio perchè affrontare le colonne di piombo o le elettroniche righe degli occupanti è cosa temeraria che solo armati di onestà intellettuale può consentire. Quindi un grande ringraziamento al Professor Edoardo Rubini per il contributo alla Storia Patria Veneta, in questo caso quella del 1848, 1849 al coraggio dimostrato ancora una volta ad affermare quello che la storiografia ufficiale italica, tace ommette, mistifica, nega, nasconde. Il Profesor Rubini scrive un'altra pagina d'oro nella storia del Popolo Veneto.
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